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The Invisible Injury: effetti psicologici delle concussioni
- 15 gennaio 2024
- Posted by: annaventurini97@gmail.com
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Nel mondo dello sport, l’audacia e la passione possono essere catalizzatori di successi epici, generando emozioni indelebili. Ne è la prova Helen Maroulis, atleta olimpionica americana di wrestling. Nel 2016 ha partecipato alle Olimpiadi di Rio De Janeiro e grazie alla sua audacia è diventata la prima donna Americana a vincere l’oro nella disciplina del wrestling freestyle. Tuttavia, il suo percorso vincente è stato interrotto da un serie di concussioni tra il 2018 e il 2019, portandola da vette olimpiche a un ricovero in reparto psichiatrico, segnato da pensieri suicidi.
La concussione è un trauma cranico dovuto da colpi medio/forti alla testa, che fanno battere il cervello all’interno della scatola cranica, causando traumi sia frontalmente e posteriormente o in ambo i lati, in base a dove viene subito il trauma. I sintomi più comuni includono confusione, mal di testa, vomito, ipersensibilità a luci e suoni, problemi di memoria e concentrazione. Tuttavia, la varietà di esperienze individuali dimostra che la reazione di ogni individuo può divergere dalla norma.
Helen Maroulis, nonostante le diagnosi di tre concussioni, non è comunque riuscita a ricevere il corretto supporto fisico e psicologico post trauma, ed ha sofferto per un lungo periodo di quello che lei ha definito come un “invisible injury”, traducibile in “infortunio invisibile”. Questi mancati supporto e comprensione hanno portato l’atleta professionista a cadere nell’ombra. Si è sentita di dover nascondere al mondo sportivo le sue difficoltà psicologiche di ansia e confusione, con lo sconforto di non riuscire a performare come nel passato, ma soprattutto a non riuscire più a riconoscersi. Grazie alla sua forza è riuscita a trovare il supporto di cui avrebbe avuto bisogno fin dall’inizio ed assieme ad un team di specialisti è riuscita a tornare ad uno stato psicofisico ottimale che le ha permesso di riprendere a praticare il wrestling. La storia di Helen testimonia l’importanza di tenere in estrema considerazione anche i segnali psicologici legati all’evento traumatico, con lo scopo di poter evitare conseguenze spiacevoli come la depressione, l’isolamento sociale, il rallentamento cognitivo e una precoce sintomatologia collegata alle patologie neurodegenerative.
Il problema é che spesso gli effetti a lungo termine dei traumi cranici vengono trascurati nel contesto sportivo creando il rischio di non riconoscere tempestivamente i sintomi come evidenziato in un altro caso, il caso di Mike Webster, uno dei migliori giocatori nella storia del football americano. Dopo un’illustre carriera caratterizzata da placcaggi e partite memorabili, quello che l’ha reso l’indimenticabile “Iron Mike”, sono state le stesse cose che hanno contribuito a farlo dimenticare si sé. Dopo il suo ritiro nel 1991, nel corso di poco più di 10 anni, è deceduto all’età di 50 anni. Sebbene la causa del suo decesso fosse ufficialmente attribuita a un attacco di cuore, uno studio post-mortem ha rivelato che Webster soffriva di Encefalopatia Traumatica Cronica (CTE), una malattia causata da molteplici traumi porta l’individuo a soffrire di cambiamenti di umore, alterazione del comportamento, come anche problemi muscolari. Questa diagnosi permise ai familiari di Webster di gettare luce sui molteplici sintomi anomali di cui Mike aveva sofferto negli ultimi anni, come amnesia, depressioni e segni di Parkinson.
Entrambe le storie di Mike Webster e Helen Maroulis sono la prova che pure agli apici dei loro sport i sintomi delle concussioni possono passare inosservati e incompresi. Spesso ci si sofferma sui sintomi più fisici come lo svenimento, o il vomito. Ma come dimostrano entrambe queste testimonianze, l’aspetto psicologico è di pari importanza se non maggiore, perché sono sintomi che spesso si protraggono nel tempo, corrodendo l’individuo e venendo spesso anche diagnosticati erroneamente. È di grande importanza che gli individui siano seguiti da professionisti nell’affrontare un periodo così delicato. Per ogni tipo di trauma sarà richiesto un percorso specializzato per ogni singolo atleta, in cui uno psicologo dello sport, grazie alle sue competenze sia psicologiche che sportive, possa accompagnare la persona nel percorso di riabilitazione. Questo percorso può essere prettamente individuale o essere di natura più ampia, con il coinvolgimento di familiari o persone vicine all’atleta. Diverse tecniche e terapie possono essere applicate, come l’accettazione dell’evento accaduto e una buona psicoeducazione che aiuti la persona a dare un senso alle ansie, agli stati confusionari e alle paure che può avere vissuto dopo un trauma cranico e che hanno fatto sentire estranea a se stessa la persona.
Questo sottolinea l’importanza di una discussione approfondita, affinché atleti e professionisti possano identificare precocemente le sfide psicologiche e fisiche legate ai traumi cranici, aprendo la strada a soluzioni mirate e tempestive. La narrazione di Helen Maroulis ci ricorda che dietro trionfi sportivi si nascondano spesso battaglie personali, sottolineando l’urgenza di una consapevolezza più ampia e di un supporto adeguato per preservare l’integrità psicologica degli atleti. A tutti i livelli sportivi è importante essere consapevoli delle molteplici conseguenze delle concussioni e anche dell’importanza del supporto psicologico necessario per poter avere una completa riabilitazione.
A cura di Celeste Guidotti
Dott. Alessandro Bargnani – CEO Health & Human Performance
BIBLIOGRAFIA
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“Trauma Cranico – Treccani.” Treccani, www.treccani.it/enciclopedia/trauma-cranico_(Dizionario-di-Medicina)/.
Woodyatt, Amy, and George Ramsay. “Concussions Left Her on the ‘Edge of Insanity.’ Now, This Olympic Wrestler Is Back and Has Titles in Her Sights.” CNN, Cable News Network, 11 Apr. 2023.