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Il fair play nello sport
Emilia Rossatti, Marco Fichera, Alistair Brownlee, Mutaz Barshim e Gianmarco Tamberi, James Rodriguez, Talalelei Gray, Ahmed Wahid, Eugenio Monti, Nikki Hambling, Dara Torres, Lawrence Lamieux, Emanuele Rossi, … tutti questi nomi e molti altri, alcuni noti e altri meno conosciuti, hanno qualcosa in comune. Non è lo sport praticato, non è la nazionalità, non è il sesso, la data di nascita o il segno zodiacale. Tutti questi atleti, e molti altri, hanno compiuto gesti di fair play.
Secondo la White Paper On Sport, redatta dalla Commissione Europea nel 2007 (e recentemente aggiornata nel 2017), lo sport “genera valori importanti, quali lo spirito di squadra, la solidarietà, la tolleranza ed il fair play”.
Nonostante la competizione e il desiderio di vincere e primeggiare siano tra gli elementi principali nello sport, questa affermazione sottolinea l’importanza di una concorrenza equa e leale tra sportivi. Ciò implica che oltre a rispettare le regole specifiche ad ogni sport, gli atleti aderiscono anche a principi etici e morali.
Il concetto di fair play, infatti, può essere definito come un modo di comportarsi in maniera onesta e nobile durante la competizione, a prescindere dal risultato sportivo, e basato sul principio di trasmissione di valori sociali positivi.
Alcuni sport si prestano meglio di altri ad adattarsi al concetto di fair play; basti pensare al mondo orientale delle arti marziali, dove ogni incontro viene preceduto e concluso con il saluto all’avversario, in segno di estremo rispetto, o, spostandosi nel mondo anglosassone, al rugby, con il famoso terzo tempo, un momento di aggregazione post-partita in cui le due squadre avversarie si uniscono per stemperare eventuali tensioni e rivalità sviluppate durante la partita banchettando con cibo e bevande.
Nel recente passato alcuni gesti di fair play hanno conquistato le prime pagine facendo molto scalpore, come la condivisione dell’oro olimpico nel salto in alto tra Tamberi e Barshim o il gesto della spadista Rossatti che ha lasciato vincere l’avversaria in vantaggio infortunatasi a pochi secondi dalla fine; altri gesti, ugualmente importanti e meritevoli, sono stati meno celebrati. Di seguito analizzeremo alcuni di questi esempi, partendo dagli anni Cinquanta fino a raggiungere tempi più recenti.
Durante la sua carriera l’atleta cecoslovacco Emil Zatopek (soprannominato la “locomotiva umana”) fu pesantemente perseguitato in patria dal regime comunista per essersi battuto in difesa della partecipazione ai Giochi Olimpici di colleghi discriminati per ragioni politiche.
Nel 1988 durante i Giochi Olimpici di Seul il velista canadese Lawrence Lemieux cambiò rotta per andare a salvare un avversario ferito e caduto in acqua. Nella stagione sportiva 2009/2010, l’Ascoli segnò un gol, mentre la Reggina aveva un giocatore a terra; l’allenatore Giuseppe Pillon chiese prontamente alla propria squadra di lasciare pareggiare gli avversari. Più recentemente, nel 2017, Talalelei Gray, il rugbista australiano dello Stade de Toulousain, ha protetto con il proprio corpo l’avversario infortunato del Lione, Virgile Bruni.
Detto ciò, è necessario specificare che non ci sono sport che garantiscono il fair play: esistono anche atleti scorretti. Esiste una spiegazione a questa affermazione?
Studi su questo argomento suggeriscono tre ragioni a supporto dell’affermazione sopra citata: la definizione di obiettivi legati al Sé, l’autoefficacia degli atleti e la tipologia di clima motivazionale.
- In particolare, è stato portato alla luce come focalizzarsi su obiettivi legati al Sé sia un fattore che predice il verificarsi di comportamenti anti-sportivi. In modo simile, focalizzarsi su sé stessi e sul competere per vincere può portare ad una mancanza di rispetto verso avversari, arbitri, regole del gioco, ed in maniera più generica ad una morale meno sviluppata;
- Una mancanza o una bassa percezione di autonomia ed un basso senso di autoefficacia sono fattori predittivi di comportamenti anti-sportivi;
- Questo modo di pensare può essere il risultato di una cultura sportiva (e non) volta a valorizzare lo sport come mero risultato, nel quale primeggiare sugli avversari, vincere, essere il migliore (e non la migliore versione di se stessi) è il pilastro alla base della partecipazione e giustifica e legittima qualsiasi comportamento e condotta adottati, pur di ottenere il primo posto. La creazione di questo clima motivazionale dipende, in modo particolare, dalle persone che circondano l’atleta, tra cui allenatori, staff, dirigenza ed, in particolar modo, i genitori – soprattutto per gli atleti più giovani.
Noi, come genitori, psicologi dello sport e allenatori, cosa possiamo fare per promuovere uno sport sano, con la giusta competizione e voglia di vincere, che non vada a precludere però la correttezza ed il fair play?
Ricordiamo che, dal punto di vista psicosociale, l’apprendimento avviene per osservazione e imitazione di contesti, di comportamenti e di persone con le quali siamo a contatto, in particolar modo in età evolutiva. La vera differenza tra un atleta “sportivo” ed uno “anti-sportivo” la fa l’individuo, a seconda dei valori che gli sono stati insegnati dalla famiglia e dalla società sportiva, due delle tre agenzie educative principali.
Vista l’attualità e le molteplici occasioni di applicazione dell’argomento, come psicologi dello sport possiamo offrire incontri e percorsi di psicoeducazione incentrati sulla promozione di un comportamento “sportivo”. Come primo approccio si può sensibilizzare su temi come il rispetto, la correttezza e la sportività, portando esempi di agonismo e competizione sani e positivi.
Secondariamente, coinvolgendo la società sportiva, lo staff e gli atleti stessi, si possono organizzare attività volte alla prevenzione, con una particolare attenzione ai fattori sopra citati, ovvero una definizione di obiettivi limitati al Sé, il livello di autoefficacia percepita dagli atleti e la tipologia di clima motivazionale percepito in sede di allenamento e di gara.
Infatti, lo sport non contribuisce solo allo sviluppo delle abilità atletiche, ma ha un ruolo attivo e fondamentale per lo sviluppo delle cosiddette life skills – capacità umane che non si limitano all’ambito sportivo, ma possono applicarsi in qualsiasi ambito della vita quotidiana, come l’empatia e la capacità di costruire e mantenere relazioni sociali.
A cura della Dott.ssa Veronica Mattarozzi e della Dott.ssa Barbara Bruni Cerchier
Dott. Alessandro Bargnani | CEO Cisspat Lab
BIBLIOGRAFIA
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https://olympics.com/it/notizie/mutaz-barshim-gianmarco-tamberi-nuovo-capitolo-mondiale-2022
https://www.milanotoday.it/cronaca/eriksen-infarto-.html
https://www.youtube.com/watch?v=IFGXctb0osU
https://www.extratimeblog.it/esempi-di-fair-play-nel-basket-il-gesto-di-rossi/