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Il fenomeno del “choking” nello sport
Il fenomeno del “choking” nello sport
“Ho sempre lanciato senza mai pensare a che movimenti fare… Che cosa succede alla mia mente? Perché mi sento così in ansia da non riuscire a compiere un’azione per me così semplice e naturale?”. Si esprime così Scott Boswell, un giocatore di cricket inglese, nell’intervista rilasciata al The Guardian nel 2020, parlando della sua esperienza nella finale del trofeo Cheltenham and Gloucester del 2001.
Nello sport, non essere in grado di gestire l’ansia durante i momenti decisivi può comportare un brusco calo di rendimento. Questo fenomeno, conosciuto come “choking”, ovvero “soffocamento”, è sempre più conosciuto all’interno del mondo della psicologia sportiva. Ma cosa significa “soffocare” durante la performance?
Inizialmente osservato da Baumeister (1984), un famoso psicologo sociale americano, viene definito come “una diminuzione considerabile ed acuta nell’esecuzione di un’abilità normalmente realizzabile da un atleta”.
Il fenomeno del soffocamento risulta da un forte aumento dell’ansia da prestazione ed è legato all’apprendimento e al controllo motorio. Infatti, una smisurata attenzione verso l’esecuzione di movimenti motori viene considerata dannosa per la performance. Quando un atleta impara una particolare skill, l’apprendimento avviene attraverso un percorso che si suddivide in: fase cognitiva, associativa e autonoma. Nella fase cognitiva i movimenti sono lenti, inconsistenti e controllati a livello conscio. L’atleta fa uso della memoria dichiarativa per scomporre la skill in micromovimenti e ricordare i vari step di esecuzione a livello conscio. Nella fase associativa, i movimenti diventano fluidi, più efficienti e semi-automatici, fino a raggiungere l’ultimo stadio, nel quale questi diventano accurati e consistenti. Attraverso la ripetizione e la pratica, le skills apprese si solidificano nella memoria procedurale, permettendo poi all’atleta di accedere a questi ricordi ed eseguire il movimento automaticamente.
Focalizzarsi su un microcomponente della skill interferisce con la natura automatica di essa, causando un declino nell’efficienza d’esecuzione. Baumeister scoprì che, sotto pressione, gli atleti cercano di controllare la skill a livello conscio, conseguentemente riducendo drasticamente la probabilità di successo nell’esecuzione di tale skill. Ne deriva che, quando l’atleta percepisce di essere sotto pressione, il ripetuto tentare di controllare il movimento accedendo alla memoria dichiarativa ha paradossalmente un effetto negativo sulla memoria procedurale.
La domanda sorge quindi spontanea: come si può intervenire per aiutare gli atleti che subiscono questo fenomeno?
Esistono diverse teorie ed interventi a riguardo. In particolare, quest’ultimi vengono strutturati in base alla tipologia di atleta che subisce il soffocamento. Se siamo in presenza di un giovane atleta alle prese con l’apprendimento di una skill, allora lo scopo dell’intervento psicologico diventerà minimizzare l’utilizzo della memoria dichiarativa durante l’allenamento a favore della memoria procedurale. Se invece si tratta di un atleta che ha già acquisito e padroneggiato un’abilità, allora l’intervento si concentrerà sull’utilizzo di tecniche di distrazione per distogliere l’attenzione dell’atleta da un’eccessiva autoconsapevolezza.
Comprendere il fenomeno del choking sicuramente non è sufficiente per prevenirlo completamente. Per l’atleta che subisce il soffocamento, svolgere un percorso insieme ad uno psicologo sportivo significa svolgere una preparazione cognitiva volta ad accettare la presenza di questo fenomeno, a fronteggiarlo e ad attenuare una possibile comparsa futura, in particolar modo grazie all’applicazione delle tecniche di mental skill training nella routine pre-performance dell’atleta.
A cura della Dott.ssa Veronica Mattarozzi
CEO Alessandro Bargnani
Bibliografia
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