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Il doping nello sport
- 4 luglio 2022
- Posted by: annaventurini97@gmail.com
- Categoria: Articoli News dal campo
Con il termine “doping” s’intende l’uso di sostanze o di altri mezzi artificiali assunti con lo scopo di voler migliorare le prestazioni fisiche di un atleta pregiudicandone, allo stesso tempo, la moralità, l’integrità fisica e psichica.
L’origine del termine “doping” rimane ancora poco conosciuta. Alcuni pensano che derivi da “dope”, un liquido utilizzato dai pionieri dell’America del Nord per indurire il cuoio per le suole delle scarpe. Altri, invece, sostengono che derivi da “doop”, bevanda eccitante assunta dai cacciatori del bacino dell’Hudson per sopportare le condizioni ambientali o infine, secondo l’ipotesi più accreditata, deriverebbe da “dop” che nella lingua “afrikaans” indicava una bevanda eccitante usata dalle tribù Kafir nelle danze rituali.
Nel corso della storia, l’uomo ha sempre cercato di migliorare le sue prestazioni fisiche e mentali tramite l’utilizzo di sostanze, sia per ottenere benefici sia per conseguire migliori risultati con il minimo sforzo. Le prime fonti storiche sul dopaggio risalgono al 2700 a.C. in Cina in un testo che parla di “Machmane”, una pianta miracolosa che contiene l’alcaloide. Già nel 300 a.C. si faceva largo uso dell’efedrina, un alcaloide usato ancor oggi da molti atleti. Questi ultimi tentavano di migliorare le loro prestazioni ai Giochi Olimpici dell’Antica Grecia assumendo decotti preparati con particolari erbe e funghi. Durante l’Impero romano, invece, venivano dopati i cavalli e anche i gladiatori utilizzavano gli stimolanti vegetali al fine di aumentare la propria resistenza alla fatica. Intorno al 1800 gli atleti iniziarono ad assumere sostanze sempre più sofisticate come oppio, cocaina, morfina, caffeina, nitroglicerina, stricnina e cubetti di zucchero disciolti in etere dietilico.
Nel tempo aumentò la gamma di sostanze a disposizione e iniziò una ricerca sempre più dettagliata di quelle che potessero favorire una specifica attività sportiva. Purtroppo, non essendoci analisi di laboratorio capaci di verificare l’eventuale assunzione di sostanze dopanti, fino agli anni ’20 del secolo passato le notizie sull’utilizzo di doping nelle pratiche sportive sono rarissime. Attorno al 1950-1960 si assistette ad un grande aumento del ricorso a sostanze dopanti in tutto il mondo dello sport (sia amatoriale che professionistico) in particolare nelle discipline che richiedevano resistenza e un importante sforzo fisico come il ciclismo, la maratona, il nuoto, il calcio, il football americano e la pallacanestro. Venivano usati per lo più anabolizzanti per aumentare la massa e la potenza muscolare, mentre per incrementare la durata dello sforzo negli sport di resistenza si intervenne sulla capacità di trasporto di ossigeno del sangue ai tessuti. Fu il caso quindi delle autoemotrasfusioni, sostituite alla fine del secolo scorso dall’uso di eritropoietina (EPO), un ormone peptidico in grado di promuovere la maturazione dei globuli rossi e la sintesi di emoglobina. Questi metodi avevano il vantaggio di potenziare i processi bioenergetici muscolari senza lasciare traccia rilevabile al controllo antidoping. Si può dire che le sostanze e le procedure utilizzate dagli atleti hanno visto un’evoluzione in linea con la disponibilità di molecole di sintesi. Recentemente la biotecnologia molecolare sta prospettando il doping genetico, ovvero l’uso non terapeutico di geni, cellule, elementi genetici o della modulazione dell’espressione genetica al fine di potenziare le prestazioni atletiche.
Grazie allo sviluppo della farmacologia, della chimica e della biologia molecolare sono state prodotte molteplici sostanze capaci di favorire gli atleti, ma il cui utilizzo è stato proibito sia in gara che fuori gara secondo il Regolamento Antidoping del codice WADA e del CONI. Le sostanze dopanti possono essere classificate in:
- AGENTI ANABOLIZZANTI: steroidi androgeni anabolizzanti (SAA), derivati sintetici del testosterone, capaci di aumentare la massa e la forza muscolare.
- ORMONI E SOSTANZE SIMILI: ormoni peptidici e glicoproteici come la corticotropina, la gonadotropina corionica, l’ormone luteinizzante, l’insulina, il fattore di crescita insulinosimile-1, l’ormone della crescita e la eritropoietina capaci di migliorare l’attività respiratoria, di avere effetti analgesici accelerando la guarigione dei tessuti lesionati, di portare maggiore resistenza alla fatica e capaci di avere effetti anabolizzanti.
- B-2 AGONISTI: somministrati per la loro azione broncodilatatrice.
- AGENTI CON ATTIVITA’ ANTI-ESTROGENICA
- DIURETICI ED ALTRI AGENTI MASCHERANTI: utilizzati da alcuni tipi di atleti per entrare in categorie di peso inferiori oppure per risultare negativi ai controlli antidoping.
- STIMOLANTI: amfetamina, amfetamino-simili e cocaina assunti per ridurre la sensazione di fatica e per incrementare l’efficienza delle prestazioni psico-fisiche.
- NARCOTICI: utilizzati per provocare analgesia ed euforia nello sportivo.
- CANNABINOIDI: per le loro proprietà ansiolitiche.
- GLUCOCORTICOSTEROIDI: antinfiammatori che danno sollievo dal dolore.
- ALCOL ETILICO: induce la riduzione dei tremori negli arti e nelle contrazioni muscolari isometriche.
- B-BLOCCANTI: in grado di migliorare la funzione cardiaca in caso d’irregolarità e ridurre la pressione arteriosa, diminuendo l’ansia e la tensione.
Le pratiche e i metodi proibiti sono, invece, i seguenti:
- aumento del trasporto di ossigeno tramite l’uso di sangue o di prodotti contenenti emoglobina sintetica (doping ematico)
- manipolazione chimica e fisica dei campioni di urine raccolti nei controlli anti-doping
- Infusioni endovenose senza prescrizione medica
- Utilizzo di metodi genetici per migliorare la prestazione atletica (doping genetico)
Per quanto riguarda i controlli antidoping vediamo come i primi siano stati effettuati sui cavalli da corsa intorno al 1910 dal chimico Bukowsky a Vienna. Solo in occasione dei giochi olimpici di LA nel 1984 si cominciò a controllare tramite le analisi delle urine le sostanze dopanti illecite nell’uomo, in particolare con le tecniche cromatografiche, ancor oggi utilizzate.
Gli organismi preposti alla lotta contro il doping si sono riuniti con la prima Convenzione dell’UNESCO nell’Ottobre 2005 e la Dichiarazione di Copenaghen nel 2006, nella quale 184 Paesi hanno sottoscritto il Codice mondiale antidoping della “World Anti Doping Agency” (WADA), che dà supporto normativo e regolamenta la lotta contro il doping, assicurando l’armonizzazione delle regole per tutti gli sport e in tutti i Paesi partecipanti. Questi ultimi sono impegnati anche nella promozione dell’eradicazione del doping, sensibilizzando gli atleti sulle conseguenze gravi sull’uso ed abuso delle sostanze vietate sopraesposte attraverso programmi ed iniziative di prevenzione, formazione, ricerca ed educazione. La mancata sottoscrizione al codice di un Paese comporta la sua esclusione dalle gare internazionali e dalle olimpiadi.
Per facilitare il rispetto delle regole, è obbligatorio applicare il “bollino antidoping” su ogni confezione di medicinali contenenti sostanze vietate. La WADA include l’utilizzo di alcune sostanze vietate per fini terapeutici, con l’obbligo però di compilare una scheda predisposta allegandone la documentazione medica attestante la patologia sofferta. La violazione del regolamento o la positività al controllo prevede diverse sanzioni dipendenti dalle situazioni, come ad esempio la sospensione per un periodo dall’attività agonistica, la multa ed il ritiro di eventuali premi vinti.
Ricorrere al doping viene visto come un comportamento deviante plurimotivato, infatti, l’International Society of Sport Psychology ha classificato le motivazioni che si celano dietro all’uso del doping in:
- Cause psicofisiologiche
- Cause psicologiche ed emotive
- Cause sociali
Le prime indicano la volontà da parte di uno sportivo di controllare attraverso l’uso di sostanze l’energia, il dolore dopo un infortunio, l’attivazione psicofisica e il desiderio di modificare il proprio peso. Le cause psicoemotive invece, si legano ad aspetti psicologici come il mantenere una certa identità e quindi la paura di fallire, oppure sentimenti di insicurezza o di una ricerca verso una perfezione psicofisica dettati dalla propria autostima. Le cause sociali fanno riferimento a tutte quelle forze che hanno un effetto sulla mente dell’atleta, quali il suo gruppo di appartenenza, i suoi compagni di allenamento o altre persone dell’ambiente.
Fare uso di sostanze simbolicamente rappresenta:
- un rifiuto a conoscere in fondo se stessi ed i propri limiti
- non voler sostenere il rischio del fallimento nella gara sportiva
- una modalità che incoraggia l’identificazione con la sola vittoria sportiva, che sembra essere la sola ed unica affermazione di sé stessi
- un modo per diventare vittima della propria paura di perdere, mettendo in atto un comportamento autodistruttivo
Spesso gli atleti che ricorrono al doping
- non sopportano lo stress alto della competizione e la conseguente possibilità di vincere o perdere. Questi atleti vivono un’ambivalenza tra il “tutto o niente” senza avere una certa maturità basata sul senso di realtà.
- sviluppano una dipendenza al successo e di conseguenza preferiscono danneggiare il loro corpo che la loro immagine, barando così a se stessi
- diventano dipendenti verso la sostanza che assumono.
Sono presenti nell’ambiente anche altri elementi capaci di spingere un atleta a doparsi come ad esempio le pressioni economiche, i contratti che impongono risultati, gli allenamenti pesanti, le aspettative, il confronto continuo con i record, la frustrazione ecc. Spesso le pressioni sono così elevate che la resistenza dell’atleta e la conservazione della sua dignità diventano molto difficili.
Alex Schwarzer, campione olimpico nella 50km di marcia alle Olimpiadi di Pechino 2008, racconta: “Se tu decidi di doparti è sempre, sempre perché tu con te stesso non vai d’accordo. Con te stesso c’è qualcosa che non va bene, e cerchi questa scorciatoia”.
Oltre a recare danno alla salute, il doping è segno della perdita dei valori fondamentali dell’etica sportiva, la quale attribuisce un ruolo positivo all’atleta capace di bilanciare il desiderio di successo con il rispetto verso l’avversario e il proprio corpo.
BIBLIOGRAFIA
- Baccini, C., Bezzi, F., Conti, M., & Tazzari, V. (2005). Doping e antidoping nello sport. Milano: Medica System Spa.
- Goodman, Louis, S., & Gilman’s. (2006). The pharmacological basis of therapeutics. 11 ed., New-York-London, McGraw-Hill.
- Palmieri, Giancarlo-Pincolini, Vincenzo-Casti, Amos. (2004). Bologna, Scientific Publishing & Communication.
- Vincenzi, R. (2005). Sport, disciplina e doping. Diagnosi & Terapia, 4.
A cura della Dott.ssa Eleonora Pinton
Dott. Bargnani Alessandro Ceo CISSPAT LAB