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BOMBER DI SCORTA. ASPETTI PSICOLOGICI DELLO STARE IN PANCHINA
Quello di domenica scorsa contro la Cremonese è il quarto gol da subentrato di Giovanni Simeone in questo avvio di stagione tra campionato e Champions League. I suoi ingressi “in medias res” durante le partite stanno scardinando le malcapitate difese avversarie tanto da annoverare tra le sue illustri vittime Liverpool, Milan ed Ajax. Emblematico, in tal senso, è proprio il gol ai Reds segnato dopo appena 3 minuti dal momento in cui ha sostituito Osimhen.
Lo stesso numero 18 partenopeo, nell’intervista rilasciata al termine della partita contro la Cremonese, ha dichiarato di non subire le reiterate panchine iniziali, ma di sentirsi comunque centrale per la sua squadra e di concentrarsi unicamente sull’esprimere tutte le sue qualità nei minuti concessagli da mister Spalletti.
Il caso di Giovanni Simeone pone l’accento su quali siano gli aspetti psicologici da considerare riguardo questa particolare situazione nella quale, prima o poi, s’imbatte chiunque pratichi uno sport di squadra: la panchina.
Da un punto di vista psicologico, infatti, il venire relegato in panchina in favore di qualche altro compagno di squadra può rievocare, come descritto dal dott. Marco Cassandro in “Campioni si diventa”[1], dolorose esperienze in cui ci si è sentiti rifiutati, esclusi o in cui è stato preferito qualcun altro. Si tratta, dunque, di un’esperienza emotiva particolarmente delicata e di difficile gestione nei confronti della quale ognuno risponde in maniera soggettiva, in base alla costellazione di significati che le viene attribuita. Pertanto, accettare la panchina come parte integrante e inevitabile dello sport e trarre forza da essa non è facile, ma allo stesso tempo rappresenta un passaggio obbligato nella crescita psicologica di un atleta.
Altrettanto inevitabili sono i sentimenti di invidia nei confronti dei compagni titolari, in particolare verso colui che è stato scelto al proprio posto. Questi sentimenti, secondo il dott. Cassandro, sono legittimi e non sono indice di amoralità bensì, più semplicemente, rivelano l’umano desiderio di voler esprimere il proprio valore. Questi vissuti interiori, dunque, testimonierebbero la presunzione positiva di ritenersi in grado di poter disputare una grande partita, sono sinonimo di autoefficacia e come tali vanno accolti senza stigmatizzarli e, d’altro canto, senza che sfocino in reazioni plateali.
Passando agli aspetti prettamente legati alla prestazione, al fine di farsi trovare pronti anche da un punto di vista mentale, oltre che fisico, al momento della sostituzione può essere molto utile, mentre si è in panchina, immedesimarsi nel compagno titolare che gioca nel proprio ruolo, pensare come se si fosse già in campo, ipotizzare quali gesti tecnici eseguire, con che postura corporea ricevere il pallone nelle diverse situazioni di gioco e dove ricercare lo spazio per smarcarsi visualizzando mentalmente la realizzazione di questi movimenti. Questa profonda immedesimazione attiverebbe quello che viene definito dalla Teoria Psiconeuromuscolare[2] “effetto Carpenter”: durante questa attività, infatti, il cervello dell’atleta invia configurazioni di impulsi neuromuscolari simili a quelli che sono originati durante la messa in atto del medesimo comportamento motorio, fornendo, così, un feedback neuromuscolare che permette degli aggiustamenti al programma motorio relativo a quello specifico movimento.
In altre parole, con una metafora psicosomatica, possiamo comparare questo processo di “attivazione specifica” che attiva strutture neuronali simili all’effettivo movimento ad un “riscaldamento mentale”. Così come per essere pronti fisicamente per la partita è necessario sollecitare anticipatamente le fasce muscolari, al tempo stesso per essere preparati e già proiettati mentalmente in campo è necessario predisporsi ai medesimi impulsi neuromuscolari che verranno successivamente attuati. Questo permetterà all’atleta di subentrare con una reattività nettamente superiore rispetto al vivere la panchina con passività e gli permetterà di essere incisivo da subito.
Solo in questo modo, la panchina può diventare il luogo psichico nel quale costruire una grande prestazione, un’opportunità di riscatto e sarà, così, possibile entrare per “spaccare” le partite proprio come il cholito Simeone.
“L’opportunità balla con quelli che sono già sulla pista da ballo” (H. Jackson Brown Jr.)
[1] CASSANDRO Marco, Campioni si diventa. Fare gol in campo e nella vita, Milano, Cairo editore, 2016.
[2] GOULD Daniel e WEINBERG Robert, Foundations of sport and exercise psychology, Miami, Human Kinetics, 2007.
A cura del Dott. Matteo Peccolo
CEO Alessandro Bargnani