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ADHD e sport in età evolutiva
L’ADHD, acronimo derivante dall’inglese Attention Deficit Hyperactive Disorder, ovvero disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività, è considerato un disordine dello sviluppo neuropsichico solitamente diagnosticato in età evolutiva, con una prevalenza stimata a livello internazionale del 7% circa nei minori di 18 anni e del 3.5% negli adulti. Queste percentuali rispecchiano l’incremento della diffusione dell’ADHA negli ultimi anni, in particolar modo nel sesso maschile. Le caratteristiche dell’ADHD possono essere: un deficit attentivo, estrema iperattività ed impulsività, difficoltà nella coordinazione e nel relazionarsi.
È necessario sottolineare come questo disturbo venga considerato una patologia genetica, causata da difetti strutturali e funzionali della corteccia prefrontale, ovvero quella parte frontale del cervello adibita a funzioni esecutive quali la pianificazione, l’organizzazione, l’attenzione ed il controllo inibitorio. Ciononostante, queste alterazioni non portano allo sviluppo di disabilità intellettive.
L’esercizio fisico ha un ruolo molto importante nel trattamento del disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività. Diversi studi hanno evidenziato la presenza di una correlazione positiva fra gli effetti dell’attività fisica, del movimento e dello sport e la riduzione dei sintomi principali dell’ADHD, sottolineando come la partecipazione a pratiche sportive migliori le funzioni esecutive.
Ad esempio, Lopez-Williams et al. (2005) hanno investigato il legame fra prestazioni sportive e relazioni sociali, valutando un campione di oltre 60 bambini dai 6 ai 12 anni per una durata di 8 settimane. Hanno visto come una partecipazione assidua fosse legata ad una socializzazione maggiore, favorendo l’integrazione e diminuendo la sintomatologia tipica dell’ADHD oltre che ad avere un effetto positivo su ansia, paura, tristezza e depressione.
Lo studio di Cornelius et al., (2017) ha individuato cinque elementi che moderano la relazione tra attività sportiva e ADHD: il tipo di attività, l’intensità, la durata, la frequenza e il prolungarsi nel tempo. Praticare quaranta minuti di attività mista di breve durata due o tre volte a settimana per periodi di tempo medio-lunghi aiuta i ragazzi con ADHD a migliorare notevolmente le capacità decisionali e di reazione/anticipazione, l’autocontrollo, la coordinazione, la concentrazione e l’orientamento spazio-temporale.
Inoltre, Pagani et al., (2020) sostengono che la partecipazione sportiva in contesti strutturati che richiedono impegno e lo sviluppo di abilità atletiche, e che siano gestiti da istruttori o allenatori competenti, diano maggior sostegno e struttura ai ragazzi soggetti da ADHD. In questi casi, il mondo dello sport deve essere inteso come un contesto caratterizzato da divertimento, regole e ruoli da rispettare; inoltre deve prevedere attività attraverso cui il giovane con (e senza) ADHD possa esprimere liberamente le sue intuizioni e dare sfogo al suo bisogno di muoversi.
Queste peculiarità possono trasformare alcune caratteristiche dell’ADHD in punti di forza. Pensiamo all’impulsività, che può diventare molto utile in casi in cui viene richiesta una capacità di prendere decisioni sotto pressione ed in tempi celeri; oppure la promozione di una motivazione intrinseca può modulare l’attenzione e l’autocontrollo in modo più efficace rispetto a fornire stimoli esterni, migliorando sia l’autostima del bambino che le sue competenze sociali.
Un esempio di come le energie della ADHD possano essere usate a vantaggio della prestazione sportiva, è dato da Michael Phelps, uno degli atleti più vincenti della storia. Lo squalo di Baltimora risulta essere l’esempio perfetto del connubio tra sport e ADHD, a 5 anni Michael era visto come un problema dalle maestre: non era in grado di concentrarsi a scuola ed era in costante movimento. Piuttosto che offrire soluzioni, la madre di Michael si sentì dire dalle maestre “Si rassegni, semplicemente suo figlio non è dotato, non sarà mai in grado di focalizzarsi su nulla”.
A posteriori possiamo affermare di essere di fronte ad una delle “profezie” più errate di sempre. Dieci anni dopo quelle parole Michael affronterà la sua prima olimpiade arrivando 5° (a 15 anni), per poi diventare nei successivi 16 anni il nuotatore più vincente di sempre, collezionando 28 medaglie olimpiche (di cui 23 d’oro) e stabilendo nel 2008 un record che rimane ancora imbattuto al giorno d’oggi: essere l’atleta con più ori (otto) in una sola edizione dei Giochi Olimpici.
Un’altra atleta che ha riferito di soffrire di ADHD è Simon Biles, l’ex ginnasta n°1 al mondo ha più volte dichiarato di prendere farmaci per il disturbo da deficit di attenzione ed iperattività. La percentuale di atleti a livello internazionale con diagnosi di ADHD riflette i dati relativi all’incidenza mondiale: in una revisione sistematica del 2018 che ha considerato 17 studi, dal 4% all’8% circa degli atleti dai 15 ai 19 anni presentavano ADHD. In un altro studio, il 7% degli atleti universitari fra il campione investigato erano in terapia farmacologica per l’ADHD.
In conclusione, come si evince dall’articolo, l’attività fisica è un ambiente caratterizzato da integrazione sociale, riduzione della sintomatologia tipica dell’ADHD e promozione di comportamenti adeguati alle situazioni e di valori positivi. ADHD e sport possono quindi coesistere e diventare un binomio importante. Per far ciò, specialmente in un contesto sportivo giovanile caratterizzato dalla presenza di atleti con ADHD, diventa di fondamentale importanza riuscire ad instaurare un rapporto basato sulla fiducia reciproca, sulla comunicazione efficace e sul divertimento.
A cura del Dott. Giorgio Sirianni e della Dott.ssa Veronica Mattarozzi
Dott. Alessandro Bargnani | CEO Cisspat Lab
Bibliografia
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