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LA MINACCIA DELLO STEREOTIPO
La “minaccia dello stereotipo”: una realtà presente in molti sport.
Nonostante i molti sforzi già fatti, ancora oggi nel mondo dello sport prevale un clima di maschilismo e molta strada va percorsa affinché si possa raggiungere un equilibrio di genere nella partecipazione sportiva. Nel 2020 il CONI ha registrato un totale di 12,8 milioni di iscrizioni, di cui 8,2 milioni erano i praticanti iscritti agli Enti di Promozione Sportiva (EPS) e i restanti 4,6 milioni corrispondevano agli atleti tesserati a Federazioni Sportive Nazionali (FSN) e Discipline Sportive Associate (DSA). Fra questi ultimi, il 71,8% erano maschi, mentre le femmine corrispondevano solo al 28,2%.
I benefici sia fisici, sia psicologici dello sport sono ormai noti, quindi ci si potrebbe domandare il perché di questa disparità di adesioni e tesseramenti.
Uno dei principali motivi è da identificarsi nel retaggio culturale che appartiene alla nostra società: un’eredità socio-culturale che tende a resistere, nonostante i continui cambiamenti ed evoluzioni. L’uomo, doveva essere conquistatore, guerriero, forte, fisico e maschile; al contrario, la donna, doveva essere mamma, donna di casa e meno fisica, aggrazziata, femminile. Questa logica è stata trasposta nella maggior parte degli sport, dove tutte le attività che riguardavano il combattimento (e.g.: judo, karate, aikido, pugilato, MMA, …) e gli sport considerati violenti o pericolosi a causa di duri impatti fisici previsti nel gioco (e.g.: calcio, basket, rugby, …) erano, tradizionalmente, a pratica esclusiva degli uomini. Tutt’oggi molti genitori sono convinti che la pratica di sport più “maschili” possa annientare la femminilità di una bambina, mentre la virilità dei propri bambini rischi di venire meno praticando sport più artistici.
Per fare un esempio con dati alla mano, possiamo analizzare la situazione del judo, un’arte marziale di origine giapponese. In Italia, degli atleti tesserati con la Federazione nazionale (FIJLKAM) il 58% sono maschi; nonostante la proporzione tra maschi e femmine (circa 6:4) non sia così schiacciante come in altre realtà (e.g.: nella Federazione Italiana Giuoco Calcio il 97% di tesserati sono maschi contro un 3% di femmine), questa proporzione peggiora spostandoci a livello d’élite internazionale. In tutte le cinque confederazioni dell’International Judo Federation (IJF), gli atleti maschi sono circa il doppio delle atlete (in Africa: 3.500 maschi e 1.600 femmine; in Asia: 6.800 maschi e 3.200 femmine; in Europa: 19.700 maschi e 8.900 femmine; in Oceania: 700 maschi e 300 femmine; in Panamerica: 4.200 maschi e 2.100 femmine).
Distinguere continuamente gli sport in attività maschili o femminili, può avere conseguenze molto negative sulla psiche dei bambini, non solo come effetto deterrente per tutti coloro che vorrebbero approcciarvisi, ma anche attivando la minaccia dello stereotipo nei bambini che già praticano un’attività “non streotipicamente congruente”.
Ma cosa si intende con minaccia dello stereotipo? Secondo questo concetto (introdotto nel 1995 da Steele e Aronson , in inglese stereotype threat) una persona o un gruppo sociale esegue prestazioni di livello inferiore rispetto al proprio potenziale, a causa di uno stereotipo negativo inerente alle abilità richieste, associato al gruppo di appartenenza. I soggetti tendono, quindi, a conformarsi allo stereotipo stesso. Questo fenomeno trova applicazione in molteplici campi, tra cui, appunto, quello sportivo, in particolare per la discriminazione di genere, a seguito dei fattori socio-bio-culturali ed educativi a cui siamo costantemente esposti. Le naturali differenze della struttura fisica, i diversi contributi finanziari ricevuti dalle federazioni e dagli sponsor e i conflitti scaturiti dalla necessità di conciliare il “ruolo” di donna (legato a valori vittoriani di sottomissione, delicatezza, bellezza e passività) e di sportiva (aggressività, forza, tenacia e perseveranza) contribuiscono ad alimentare gli stereotipi alla base di questa minaccia. Ugualmente, anche se in percentuale minore e con modalità differenti, lo stesso ragionamento può essere applicato agli uomini che cercano di conciliare il “ruolo” imposto dalla società (virile, forte, potente) con la disciplina praticata, stereotipicamente non conforme (e.g.: danza, nuoto sincronizzato, ginnastica artistica). I risultati attesi e ottenuti dalle prestazioni risulteranno quindi inferiori rispetto alle effettive capacità possedute.
Negli anni sono stati condotti diversi studi riguardanti gli stereotipi di genere (soprattutto in riferimento alle donne sportive) e le ricadute negative a cui essi possono portare, constatando che si assiste a un calo prestazionale maggiore nel caso in cui la minaccia dello stereotipo venga esplicitata, oppure nel caso in cui lo stereotipo si riferisca a delle specifiche abilità fisiche (andando a sottolineare quelle differenze di genere che per natura sono inevitabili).
Nonostante sia stato riscontrato che la motivazione propria degli individui possa fungere da mediatore per l’efficacia della minaccia dello stereotipo (più i livelli motivazionali saranno elevati, meno effetto avrà la minaccia sull’individuo coinvolto), il fenomeno è reale e non va sottovalutato.
Infatti, alla minaccia dello stereotipo di genere sono collegati alti tassi di burnout.
Questa riflessione non vuole essere un inno al buonismo; come già specificato, infatti, maschi e femmine per costituzione presentano differenze sia caratteriali, sia fisiche. Così come è vero che esistono differenze interindividuali di tipo caratteriale che non seguono alcun pattern di genere. Per questo, le differenze che inevitabilmente esistono non devono precludere la possibilità di poter usufruire di uguali opportunità, senza rischiare di essere giudicati, presi in giro o discriminati.
A cura della Dott.ssa Barbara Bruni Cerchier
Dott. Alessandro Bargnani | CEO Cisspat Lab
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Sito ufficiale European Judo Union (EJU): https://www.eju.net/eju/
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