NEWS
DROP-OUT SPORTIVO. Perchè i ragazzi abbandonano lo sport
“Ho visto ragazzi di grande talento smettere di divertirsi e abbandonare la pallanuoto e suppongo che questo sia esperienza comune a tutti gli sport, siano essi individuali o di squadra.”
(Marco Morelli, Psicologo e Dirigente sportivo Waterpolo Milano)
Ai bambini e ai ragazzi piace fare sport. Soprattutto in età evolutiva, stare all’aperto è una continua scoperta, si è pieni di energie da utilizzare per testare le capacità acquisite e cercare di superare i propri limiti. Si viene a creare anche una dinamica di confronto con i propri pari e si sviluppano nuove interpersonali. Il coinvolgimento in un’attività sportiva con regole e degli obiettivi di gioco è un modello da cui il bambino impara e struttura una modalità di impegno diretto a scopi.
Le famiglie italiane introducono i propri figli allo sport nel 59,4% dei casi, creando una routine con almeno un’attività sportiva in cui coinvolgere il proprio figlio.
Tuttavia è alta la percentuale di ragazzi che, raggiunta l’età adolescenziale, abbandonano l’attività sportiva, considerandola quest’ultima la più sacrificabile della propria routine settimanale.
Con “drop-out sportivo” si intende il fenomeno di abbandono precoce della pratica sportiva.
È trasversale a tutte le discipline, riguarda soprattutto i ragazzi tra i 13 e i 16 anni e si stima che in Italia colpisca circa il 30% dei ragazzi in questa fascia d’età.
Psicologi dello sport e altri professionisti dell’area socio-educativa e sportiva ne hanno studiato il fenomeno e individuato le cause.
L’attività di studio scolastica e post-scolastica richiede al ragazzo, soprattutto durante l’adolescenza, un impegno consistente; inoltre questa fase dello sviluppo è caratterizzata da una tendenza a “rompere” gli schemi e a rifiutare i pareri da figure adulte come i genitori o, nel caso di attività sportive, l’allenatore, il coach, il preparatore atletico. Considerando anche l’esplosione dell’interesse sessuale e sentimentale, la priorità diventa l’incontro con i pari e la vita sociale attrae l’adolescente più di ogni altra cosa.
Un’altra motivazione atta a spiegare la perdita di interesse del ragazzo pre-adolescente o già in età adolescenziale, è la alta competitività che già in età giovanile si vive in alcuni contesti sportivi.
Ribadendo la peculiarità dell’età adolescenziale, ovvero la volontà di rompere schemi e di rifiutare regole, la alta competitività può generare stress che viene generalmente affrontato in due modi: immergendosi totalmente nello sport, utilizzando i contesti sportivi come palcoscenico dove dimostrare la propria forza, identità e valore; oppure l’abbandono di un’attività che appare eccessivamente impegnativa e che sembra non dare tempo e spazio al ragazzo per scoprire la propria personalità, ma che lo pone davanti a ulteriori doveri.
<< Credo che il concetto che vada approfondito per capire davvero il drop-out sportivo sia quello di “longevità dell’atleta”, che consiste nella cura e nell’attenzione che dirigenti, allenatori e genitori devono avere nell’accompagnare il ragazzo nello sviluppo sportivo, emotivo e fisico per renderlo il più longevo possibile. >> (Marco Morelli)
Durante lo sviluppo sia il bambino sia l’adolescente incontrerà fasi sensibili, ovvero quelle fasi in cui l’organismo del bambino è pronto ad apprendere in maniera determinate capacità motorie-coordinative e capacità psicofisiche.
In queste tappe c’è bisogno che l’adulto avvicini e coinvolga il ragazzo con modalità che possano favorire apertura e consapevolezza, consapevolezza appunto che si possa ambire a qualcosa di grande nell’attività sportiva, ma come grado successivo al fine primario, che deve rimanere divertimento e benessere psicofisico. Lasciare il ragazzo sognare e accompagnarlo quando ci si scontra con le difficoltà più concrete. In questa fase delicata, coloro che sono a contatto con i bambini in età evolutiva, devono essere competenti su questi argomenti.
Troppo spesso vediamo che gli allenatori destinati alle giovanili sono professionisti alle prime armi, che devono fare esperienza, prima di lavorare con atleti adulti nel “vero agonismo”.
Questo è uno degli errori di gestione da parte della società sportiva e degli allenatori che possono portare i ragazzi in fasi delicate della crescita ad abbandonare la pratica sportiva in mancanza di una figura che possa comprenderli e accompagnarli con strategie adeguate in tappe difficili o in scelte delicate che si presentano nelle fasi di crescita.
Da questo punto di vista è necessario che un allenatore di una squadra giovanile o di agonisti adolescenti, non conosca solo tattiche per battere l’avversario, ma soprattutto sappia gestire i ragazzi, empatizzando, dando struttura a delle dinamiche che possono apparire confuse agli occhi di un bambino o adolescente. Una figura che sappia dare spazio verbale e colloquiale a pensieri e preoccupazioni che possano sorgere nella vita di un ragazzo.
Così gli allenatori come anche i genitori.
A volte investono i propri figli di aspettative troppo forti da sostenere, ignorando che il talento va coltivato senza fretta.
A questo proposito sono utilissimi incontri informativi rivolti alle famiglie per spiegare loro che tipo di cultura dello sport ha la società, su cosa lavorano gli allenatori e su quale sia il loro compito sportivo-educativo nei confronti dei ragazzi.
Per finire, ci deve essere una società sportiva che consideri questi bisogni da parte dei ragazzi e le necessità di fare un lavoro attento ai giovani atleti.
Essere bravi dirigenti sportivi non vuol dire solo far funzionare tutto a livello organizzativo ed economico.
Se la società riesce a promuovere una cultura dello sport incentrata sulla cura anche psicologica dell’atleta, se si selezionano allenatori competenti e si informano i genitori degli sforzi da fare per accompagnare i propri ragazzi, la società creerà un ambiente partecipativo e attento ai propri tesserati.
Questo potrà poi ritornare indirettamente alla società sotto forma di un settore giovanile di qualità tecnica ma anche mentale, con una maturità emotiva e un attaccamento alla maglia da parte dei ragazzi che può fare la differenza sul campo. Inoltre una società sportiva attenta a questi aspetti potrà godere della stima della popolazione e probabilmente vedrà crescere la lista dei tesserati o dei tifosi nella propria società.
Con un lavoro impostato su queste esigenze, i ragazzi si sentiranno considerati e andranno avanti a divertirsi e a praticare l’attività sportiva sapendo affrontare gli altri impegni di vita e gli ostacoli che incontreranno, rimanendo attaccati al proprio sport.
A cura della Dott. Luca D’Onorio De Meo
Dott. Bargnani Alessandro Ceo CISSPAT LAB
Bibliografia:
- Cei A., “Psicologia dello sport”, Il Mulino Bologna, 1998.
- Meterangelis A., “Psicobiologia dello sport”, Edizioni Kappa, Roma, 2007.
- Mismetti A., “Dispensa del Programma Multimediale per Operatori Sportivi CONI”, 1984.
- Prunelli V., “Sport e agonismo. Come conciliare testa e gambe per formare uno sportivo completo”, Ed. Franco Angeli, Milano, 2002.
- Vincenzi S., “L’abbandono e il ritorno allo sport. Lo sport come fenomeno transazionale”, Ed. Luigi Pozzi, Roma, 1992.
- www.centroclinicodipsicologia.it