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Comunicare. In campo, fuori dal campo, con compagni e avversari.
- 31 gennaio 2022
- Posted by: lucadonoriodemeo@hotmail.it
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Il mondo è fatto di relazioni. Ogni oggetto svolge le proprie funzioni in relazione ad un altro oggetto e si presenta come reale attraverso il collegamento con un’altra entità vivente.
Ogni relazione quindi contribuisce a riformulare o confermare ciò che siamo agli occhi del mondo; ciò che siamo, nella relazione, temporanea o duratura, si manifesta attraverso la comunicazione.
La comunicazione è un insieme di fenomeni che comportano una diffusione di informazioni di vario tipo: azioni, pensieri, stati d’animo, istruzioni, eventi.
Non si può non comunicare secondo la Scuola di Palo Alto. Tutti comunicano: anche quando pensano di non comunicare, stanno comunicando. Gli esponenti di questa scuola: Bateson, Watzlavick, Beavin, Jackson ed altri, negli anni Sessanta fissarono una serie di nozioni teoriche elaborate a partire dalla sperimentazione sul campo e definirono la funzione pragmatica della comunicazione, vale a dire la capacità di provocare degli eventi nei contesti di vita attraverso l’esperienza comunicativa, intesa sia nella sua forma verbale che in quella non-verbale.
Comunicando, con il linguaggio verbale, quello para-verbale e quello non verbale, costruiamo i rapporti, tanto quelli di collaborazione, con soggetti che fanno parte del nostro gruppo di appartenenza (ingroup) tanto quelli di competizione con persone facenti parte di un gruppo esterno al nostro (outgroup). Le ricerche di tutto il secolo scorso hanno confermato che fiducia, comprensione, stima, trasparenza sono prodotti di una buona comunicazione e colonne portanti di una relazione di successo.
Nell’ambito sportivo la comunicazione ha un peso notevole sotto vari aspetti.
Basta richiamare al nostro immaginario generale scene di sport di squadra, in cui due o più giocatori manifestano un’intesa, con uno sguardo o con un gesto, per trasmettere qualcosa al compagno. Tanto familiare ai nostri occhi questa scena, tanto efficace il risultato in campo.
“La mia intesa con Bonucci? …abbiamo un feeling speciale. Non abbiamo neanche bisogno di guardarci…È una cosa che riusciamo a trasmettere anche agli spettatori a casa”. (G. Chiellini su L. Bonucci)
Nello sport di squadra si crea una reale complicità e cooperazione tra gli atleti, fino a sviluppare un forte legame di unione. Questo fattore diventa la chiave per mettere in atto dei comportamenti tecnico/tattici in modo non macchinoso, ma consequenziale e armonioso; comportamenti del singolo o del reparto difensivo ad esempio, a cui conseguono automaticamente dei movimenti e delle disposizioni di altri membri della squadra del reparto più avanzato.
Immaginando uno scenario calcistico, capita di osservare, in giocatori della stessa squadra, come il movimento dell’uno suggerisca all’altro di svolgere un determinato gesto sportivo, ad esempio uno scatto in avanti di un giocatore comunica al compagno che ha bisogno di essere servito, quindi il compagno, effettua un lancio in profondità per il giocatore; oppure, in occasione di un calcio piazzato, un urlo, un cenno con la mano del giocatore che si appresta a lanciare, richiama i propri compagni ad uno schema e ad una disposizione.
Tutto ciò diviene fluido funzionale alla prestazione sportiva quando la comunicazione in campo e fuori è solida e profonda, dove lo sportivo ha possibilità di espressione massima del proprio sé e ha fiducia nei compagni. In queste situazioni il gruppo squadra supera la somma del valore dei singoli atleti e diviene un’entità unica, ampia, complessa e performante.
Può capitare che ci sia una naturale affinità fra giocatori, ma molto più spesso la capacità di creare una buona intesa di squadra è merito dello staff che gestisce il gruppo, a cominciare dall’allenatore.
La modalità di comunicazione dell’allenatore è fondamentale nel determinare la qualità e l’efficacia della partecipazione; inoltre è il canale con cui avviene il trasferimento e lo scambio di valori sociali, necessario per la costruzione di un senso comune.
La creazione di un senso comune giova al gruppo negli sport di squadra, ma anche al singolo atleta negli sport individuali nel suo rapporto con l’allenatore.
Un errore diffuso è comunicare con i giocatori limitandosi ad esternare i propri pensieri sugli schemi, le proprie valutazioni, le proprie aspettative agonistiche e cercando dall’atleta conferma e accettazione.
Un allenatore deve innescare una comunicazione aperta, che si basi sempre su un input stimolante e conseguente discussione, quindi disponibilità all’ascolto.
La valorizzazione dell’opinione dell’atleta da parte dello staff contribuisce a far venir fuori il carattere, i bisogni dell’atleta e l’approccio di esso alla gara; è alla base della relazione interna al gruppo e del fattore bidirezionale di ogni comunicazione, imprescindibile anche nello scambio tra ruoli gerarchicamente diversi come quello tra allenatore e giocatore.
Anche al di fuori del gruppo squadra, al di fuori della relazione con l’allenatore e con lo staff, una buona comunicazione può fare la differenza, nel proprio stato d’animo durante la gara e nel rapporto temporaneo con l’avversario.
Prendiamo in esempio questa volta il tennis. Se dopo la battuta ogni piccolo movimento deve essere un gesto tecnico finalizzato al punteggio, tutto quello che avviene invece tra un punto e l’altro è comunicazione: il modo di camminare, stare in piedi, parlare, reagire al punteggio, tenere la racchetta, sono tutti messaggi verso l’avversario che vengono percepiti, consciamente o inconsciamente, e riferiscono che si è calmi e sicuri o al contrario insicuri, irritati.
Un giocatore che si trova in svantaggio in una partita e si sente frustrato, può mandare messaggi negativi con il proprio corpo, muovendosi lentamente tra i punti, facendo smorfie di disappunto, inferendo in questo modo all’avversario incoraggiamento, fiducia e superiorità, rendendo ancora più difficile per il giocatore un’eventuale rimonta.
Un linguaggio non verbale positivo, come apparire pimpanti e vivaci nei movimenti tra un punto e l’altro, mantenere la testa alta e la racchetta salda, sono espressioni di sicurezza e controllo, sono messaggi di pericolo per l’avversario che potrebbe a sua volta innervosirsi.
Il linguaggio del corpo svolge sempre un ruolo comunicativo importante. Saperlo riconoscere può dirci tanto sull’avversario, saperlo orientare a nostro favore può avere un buon grado di influenza sulla gara.
Può influenzare l’avversario ma può avere influenza sul gioco dell’atleta stesso.
Allenarsi ad usare il linguaggio del corpo positivo in campo può influire sullo stato umorale e l’approccio alla prossima azione di gara. La mente controlla il corpo ma anche il corpo influenza la mente; attraverso movimenti positivi, spronandosi anche con qualche rituale fisico personale, si stimola la mente a mandare comandi energici e positivi al corpo. In questo modo l’approccio alla gara aumenta di livello.
Dare peso a ciò che si comunica e imparare a riconoscere i segnali degli altri, compagni, avversari, istituzioni o staff, conferisce una conoscenza e una padronanza profonda per approcciare in maniera ottimale alle situazioni ed entrare pienamente nelle relazioni che, ancora una volta, sono realmente ciò che sorreggono ogni contesto e ambito della vita umana.
A cura del Dott. Luca D’Onorio De Meo
Dott. Bargnani Alessandro, CEO Psicologi dello Sport Italia
Bibliografia
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- Mehrabian, A. (1971). Silent Messages: Implicit Communication of Emotions and Attitudes.