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Nello sport, si diventa grandi “nonostante”.
«Il giovane è affetto da un leggero strabismo, ha la spina dorsale deformata, uno sbilanciamento del bacino, sei centimetri di differenza in lunghezza tra le gambe. Il ginocchio destro è affetto da varismo mentre il sinistro da valgismo nonostante un intervento chirurgico correttivo. Per via di tali malformazioni, dovute probabilmente alla poliomielite o alla malnutrizione, Manoel Francismo dos Santos è dichiarato invalido e gli è assolutamente sconsigliata ogni attività fisica agonistica»[1].
Recita così il referto con cui un medico di Pau Grande, in Brasile, avrebbe etichettato come invalido e non idoneo all’attività sportiva il futuro numero 7 della nazionale verde-oro.
Manoel, tuttavia, ha ricevuto una formazione scolastica a dir poco rudimentale che lo rendeva un semianalfabeta e non era, dunque, in grado di comprendere a fondo quanto scritto dal medico né, tantomeno, cosa fosse la poliomelite, la malattia che determinava la sua evidente malformazione ossea. Ma sarà proprio questa completa incuranza nei confronti delle definizioni limitanti che gli venivano attribuite a consentire a Manoel di diventare una delle più grandi ali destre mai ammirate in un campo di calcio e di iscriversi nell’albo d’oro di questo sport sotto il nome di Garrincha.
Garrincha rifiutò perentoriamente qualunque giudizio depotenziante su se stesso e fece della malformazione la sua forza: la sua atipica configurazione fisica gli permetteva finte da mitologia sportiva con le quali destabilizzava i malcapitati difensori avversari. Vinse due mondiali e fece divertire il popolo carioca come nessun altro giocatore tanto da essere denominato Alegria do povo, l’allegria del popolo, proprio per la sua filosofia calcistica secondo la quale il gol è soltanto la naturale interruzione tra un dribbling e l’altro.
La storia di Garrincha è epica ed emblematica e dimostra come l’impermeabilità al giudizio altrui, il negare agli altri la possibilità di tracciare i propri limiti e la totale fedeltà al proprio estro creativo possano portare a risultati incredibili.
Il suo percorso sportivo e di vita è, in alcuni passaggi, ricalcato, mezzo secolo dopo, da Lionel Messi. Anche il genio argentino, infatti, affetto da nanismo, partiva da una condizione fisica fortemente invalidante e i farmaci assunti al fine di favorire la crescita avevano effetti collaterali molto dolorosi. Il Messi di 11 anni vomitava quasi quotidianamente e perdeva i peli; più tardi ammetterà: «Fu un periodo atroce, ma la convinzione di raggiungere il sogno era più forte di tutto»[2].
Garrincha e Messi, due campioni che non si sono fermati davanti agli intoppi del destino, poiché nutrivano dentro di sé la profonda convinzione di potercela fare, al di là di tutto, e che sono testimonianze del concetto psicologico di Mental Toughness.
Con il termine Mental Toughness s’intende quel tratto di personalità che indica quanto il soggetto sia in grado di perseguire un obiettivo nonostante le avversità, gli agenti stressanti e le persone esterne.
Spesso, adottando un’ottica deterministica, si tende a pensare che il campione sia semplicemente frutto di una fortunosa combinazione genetica, tuttavia non esiste una biografia di un fuoriclasse che non racconti di sconfitte, critiche, infortuni laceranti, errori decisivi o condizioni svantaggiose, poiché non vi è carriera sportiva che non debba affrontare peripezie di diversa natura.
La Mental Toughness è una conditio sine qua non che accomuna tutti i più grandi sportivi di sempre e spesso rappresenta il discriminante tra una promessa che rimane tale e un campione affermato. Il medesimo errore, infortunio o malattia congenita che per molti può sembrare un limite invalicabile, per altri può consistere in quel limite dal quale partire per sviluppare un’illimitata determinazione.
Si diventa campioni sempre e comunque NONOSTANTE.
[1] Jethro Soutar, Garrincha has a ball, The Guardian, 22 maggio 2009.
[2] Marco CASSANDRO, CAMPIONI SI DIVENTA, Bergamo, Cairo editore, 2016, pp.62-63
A cura del Dott. Matteo Peccolo.
Dott. Bargnani Alessandro Ceo Psicologi dello Sport Italia